venerdì 5 agosto 2011

Il grande Gatsby di Francis Scott Fitzgerald


Questa non è una recensione. Non potrebbe esserlo.
Come si fa a recensire un classico? Mica facile… Ci si sente piccoli piccoli, di fronte a questi testi straordinari, scritti da autentici mostri sacri.
Quindi, dicevo, questa non è, nè potrebbe essere, una recensione. Diciamo piuttosto che è un omaggio. Un omaggio ad un libro che ho nel cuore dall’età dell’adolescenza; un libro che mi ha fatto scoprire la letteratura con la L maiuscola; un libro che ho letto e riletto, anche in versione originale (che poi è sempre la cosa migliore, per entrare nel linguaggio di chi scrive).
Io mi limito a sottoscrivere.


Il grande Gatsby è il più celebre romanzo di Francis Scott Fitzgerald, lo scrittore americano che diede voce, in letteratura, alla cosiddetta “età del jazz”.
È la storia di un grand’uomo, Jay Gatsby, dal passato oscuro e dal presente sfavillante.
Tutto feste e bella vita, Gatsby. Personaggio affascinante che sa circondarsi di tanti amici, di tante donne, di tanto lusso.
Ma in realtà Gatsby è un uomo solo. E quando il lusso sparisce, quando la tragedia lo travolge, Gatsby resta, inesorabilmente, solo. La sua fine è la fine dell’illusione, epifania di una realtà aspra e crudele, e vengono definitivamente smascherate le meschinità, le ipocrisie, lo squallido opportunismo dell’uomo.
Dramma della solitudine e del fallimento, questo romanzo fu un grande successo di pubblico (una volta tanto, un best seller che vale davvero…)
E visto che non mi sento degno di commentare, sul serio, un capolavoro simile, mi affido, per chiudere, alle parole di Fernanda Pivano, traduttrice de Il grande Gatsby, oltre che autorevole studiosa di letteratura, soprattutto americana.
Di questo romanzo, la Pivano disse: “resta l’intramontabile realtà di pagine preziose e pure come diamanti”.
Gianluca Calvino

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